N.1 -LA FIGURA di CRISTO BUON PASTORE Introduzione L’immagine giovannea del Buon Pastore connota il senso e lo spirito con cui il nostro Vescovo viene a trovarci. Esiste il Buon Pastore ed il mercenario, ciò che fa la differenza è garantire la vita altrui e pro-tendersi verso l’altro. Nel Vangelo di Giovanni Gesù afferma: “Io sono il Buon Pastore. Il Buon Pastore dà la propria vita per le pecore” (Gv 10, 11). Ma, per far comprendere la differenza tra il buon pastore o pastore vero e colui che di fatto non lo è, il mercenario, Gesù afferma: “Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde perché è un mercenario e non gli importa delle pecore” (Gv 10, 11-13). Poco prima Gesù afferma di distinguersi da tutti coloro che erano venuti prima di Lui e che definisce ladri e briganti. Al contrario di loro Gesù si definisce: “… la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo … troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 8-10). Il Buon Pastore, dunque, è colui che rende la forza alle pecore deboli, cura le inferme, fascia quelle ferite, ritrova le disperse (Cfr. Ez.34, 2-4). Gesù è la “porta” della vita e per tanto ed è Cristo Pastore che si riflette nel Vescovo che visita il popolo a lui affidato. Il Vescovo visita la sua comunità con lo spirito di Cristo Buon Pastore. Questa occasione può aiutare tutti, sacerdoti e laici, a vivere un momento di cristianesimo autentico, fatto di incontri ma anche del desiderio reciproco di conoscersi, sapendo che al centro della propria vita si pone l’affidamento incondizionato alla persona di Gesù Buon Pastore. Spunti di riflessione Come ci si prepara ad accogliere qualcuno che viene a trovarci? L’evento della prossima Visita Pastorale può aiutare a comunicare reali percorsi di vita cristiana, ma anche a far luce sugli aspetti, a volte drammatici,della vita di fede? Riferimenti biblico - patristici È noto quanto la via predominante attraverso la quale Dio parla agli uomini sia quella simbolica. Quella del pastore è un’immagine particolarmente efficace e molto cara al popolo di Israele, per il suo passato di popolo nomade dedito alla pastorizia, ma anche perché questa attività lo ha accompagnato durante gli anni dell’esodo. Nell’antica cultura ebraica anche il re, per il suo ruolo di guida e di protezione, è considerato come un pastore per il suo popolo. Quella del pastore è quindi l’immagine, pittoresca e bella, con cui Dio vuole farsi conoscere dagli uomini. Nell’A. T. è il profeta Ezechiele a rendere quasi visivamente il progetto di Dio di essere pastore del suo popolo. Troviamo infatti: “Dice il Signore Dio: Guai ai pastori di Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge”(Ez 34, 2-3). Il profeta riceve da Dio l’ordine di rivolgere queste parole ai pastori di Israele. Il richiamo è severo, ma accorato; è la sollecitudine di Dio per l’uomo, la preoccupazione del Padre per i suoi figli, rese in modo plastico dall’immagine del pastore. Dio si “compromette” con gli uomini al punto di far sapere che vuole essere per loro custode, premuroso e misericordioso in modo preventivo, come di fatto è un vero pastore. “Perché dice il Signore Dio: Ecco io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura [… ] io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da dove erano disperse […] Le condurrò in ottime pasture […] là riposeranno in un buon ovile […] io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare” (Ez 34, 11-12.14). Nei Padri della Chiesa emerge come Cristo Buon Pastore sia il vero “filantropo”;un filantropo divino, che per amore dell’uomo si è fatto uomo, mostrando il vero e definitivo modello di umanità. Infatti, è Cristo-Uomo Colui che per primo porta sulle spalle l’’eros dell’uomo riscattato e liberato dalla seduzione dei falsi profeti, per restituirlo alla verità e alla vita eterna. In Gesù Buon Pastore è visibile il Logos e l’Amante; in Lui la Ragione e l’Amore sono uniti in armonia e si rendono percepibili, filigranati, attraverso un soggetto pittorico raffigurante, appunto, il Buon Pastore. L’immagine del Buon Pastore è, inoltre, molto cara alla riflessione teologica di Benedetto XVI. Sin dalla sua omelia all’inizio del ministero petrino, infatti, egli richiama il significato del pallio, tessuto di lana d’agnello che allude chiaramente alla pecorella portata in spalle dal Pastore: “La parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto, era, per i Padri della Chiesa, un’immagine del mistero di Cristo e della Chiesa. L’umanità - noi tutti – è la pecora smarrita che nel deserto non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce” (Benedetto XVI, Omelia di inizio del ministero petrino, 24-04-2005). Quanto all’immagine vera e propria del Pastore Benedetto XVI mette in risalto 4 contenuti essenziali: 1. Mentre il ladro viene per distruggere e derubare, perché vede le pecore come sua proprietà da sfruttare, il Pastore viene per la vita, anzi perché abbiano la vita in abbondanza. Ma cosa significa? Gesù promette di mostrare alle sue pecore il pascolo, di condurle alle sorgenti della vita, cioè a ciò di cui hanno più bisogno per il sostentamento. Di cosa si tratta? Qual è questo nutrimento? Innanzitutto la sua Parola d’amore 2. Il buon pastore offre la vita per le pecore spontaneamente. In questo senso la croce è il fulcro dell’immagine del pastore. Gesù non dà qualcosa ma dà se stessoo 3. Conoscenza reciproca tra pastore e greggee. Conoscenza e appartenenza sono intrecciate. Il pastore non possiede le pecore come un oggetto a suo uso e consumo, ma tale appartenenza è nell’ordine della conoscenza reciproca e nell’accettazione interiore. 4. ““Io sono … conosco le mie pecore … come il Padre conosce me e io conosco il Padre”. La conoscenza tra pastore e pecore è intrecciata e intimamente connessa con la conoscenza tra Padre e Figlio. Siamo quindi intessuti nel dialogo trinitario e nella preghiera sacerdotale questo è ancora più evidente. L' armonia tra la Ragione e l’Amore (il Logos e l’Agape) in Cristo Buon Pastore, il Dio incarnato, ha anche un altro nome: Bellezza. Cristo è kalòs Pastore, il Bel Pastore. Di fronte alla carità non si rimane indifferenti (in virtù di quel “carattere” impresso all’uomo con la creazione e che è il suo essere a immagine e somiglianza con Dio); al contrario, di fronte al bene si resta rapiti come si rimane quando lo sguardo è catturato da ciò che è bello. Bontà e bellezza sono tutt’uno: la bontà si riveste di bellezza e la bellezza si riempie di bontà, così entrambe sono la Verità. Spunti di riflessione Oggi la bellezza è superficiale ed esteriore, totalmente scissa dal bene.. Il mondo post-moderno e la sua cultura erotico-irrazionale esprimono sempre più un bisogno di rimedi facili e immediati alla propria infelicità: Cristo Buon Pastore come maestro e guida è stato sostituito dai “guru” del tempo attuale: sedicenti maestri, sesso, potere, denaro, vizio. Riferimenti magisteriali Il vescovo, come Gesù Buon Pastore, chiama i fedeli, fa sentire la sua voce e si fa riconoscere al fine di (ri)costituire unità e armonia, una spiritualità di comunione, quale frutto di una vera conversione a Cristo. Inoltre, poiché l’unico pastore della Chiesa è Cristo Gesù “Le pecore, il gregge gli appartengono … coloro che il Signore ha posto come capi e guida più che chiamarli non del tutto propriamente pastori, sono episkopoi. Sono coloro che osservano, sor-vegliano, visitano, in qualche modo proteggono; sono lesentinelle” (LG n. 25). La Cost. Dogm. Lumen Gentium precisa: “I Vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate come vicari e legati di Cristo, col consiglio la persuasione,l’esempio ma anche con l’autorità e la sacra potestà della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è più grande si deve fare come il più piccolo, e chi è capo, come chi serve” (n. 27). Gesù fa comprendere di essere, per chiunque creda in Lui, il Buon Pastore. Giovanni Paolo II nell’ Esortazione Apostolica Pastores Gregis, afferma: “…la figura di Gesù Buon Pastore costituisce l’immagine privilegiata a cui fare costante riferimento. Nessuno, infatti, può essere considerato pastore degno di tale nome “nisi per caritatem efficiatur unum cum Christo””. È questa la ragione fondamentale per cui “la figura ideale di Vescovo, su cui la Chiesa continua a contare, è quella del Pastore che, configurato a Cristo nella santità della vita, si spende generosamente per la Chiesa affidatagli, portando contemporaneamente nel cuore la sollecitudine per tutte le Chiese sparse sulla terra” (n. 1). La configurazione a Cristo Buon Pastore, dunque, fa del Vescovo anche una persona che incontra i membri della comunità a lui affidata, per essere centro di raccordo privilegiato, guida e pedagogo nella fede, offrendosi come colui che raccoglie, guida e protegge i credenti. Spunti di riflessione Come immaginiamo la figura del Vescovo Buon Pastore?? Quali aspetti della vita di fede, sia individuale che della comunità, vogliamo esprimere al Vescovo in Visita Pastorale? N.2- IL VESCOVO IMMAGINE di CRISTO BUON PASTORE Il Vescovo nei Padri della Chiesa: l’amore comunitario personificato Nella concezione patristica la figura e la missione del vescovo si può riassumere così: il vescovo è l’amore comunitario personificato.. In S. Ignazio d’Antiochia (fine I secolo) l’unione reciproca dei fedeli viene commisurata all’unione con il vescovo. L’amore a Cristo passa attraverso l’amore al vescovo. Egli è dunque il centro di unione con tutti; chi da lui è diviso, si è ritirato dalla comunione con gli altri e si è separato dalla Chiesa. Ecco qualche breve testo: “Conviene procedere d’accordo con la mente del vescovo, come già fate. Il vostro presbiterio ben reputato degno di Dio è molto unito al vescovo come le corde alla cetra. Per questo dalla vostra unità e dal vostro amore concorde si canta a Gesù Cristo “Chi agisce di nascosto dal vescovo onora il demonio” (Lett. agli Efesini 5,1). S. Ignazio assimila la figura del vescovo alla figura di Gesù pastore: “Figli della vera luce fuggite la faziosità e le dottrine perverse. Dove è il pastore ivi seguitelo come pecore. Molti lupi degni di fede con lusinghe malvagie seducono chi corre nel Signore. Ma essi non avranno posto nella vostra unità” (Lett. ai Filadelfesi 2,1). Anche per San Cipriano (sec. III), il vescovo rappresenta il centro di unione della comunità. Tutto ciò che di cristiano vi è nei fedeli si riunisce nel vescovo come attorno al suo centro. Dio qui la famosa espressione: “Devi sapere che il vescovo è nella Chiesa e la Chiesa è nel vescovo” (Lett. 69, 8). Per il vescovo di Cartagine, l’assimilazione del vescovo a Gesù unico pastore gli consente di affermare l’indivisibilità della Chiesa come era indivisibile la tunica del Signore: “Chi è tanto malvagio ed infedele, chi tanto demente da credere che può scindersi o rompersi l’unità stabilita da Dio, la tunica del Signore, la Chiesa di Cristo? Ci insegna il Vangelo: “Vi sarà un solo pastore ed un solo gregge”. Qualcuno pensa che in un solo gregge possano esserci tanti pastori o tanti greggi?” (L’unità della Chiesa cattolica, 8). Origene (sec. III) non esita a vedere nel vescovo il livello più alto dell’amore comunitario: “Verso di lui (il vescovo) tutti devono levare gli occhi, e chi contempla la sua vita, deve accendersi tutto di entusiasmo per Gesù Cristo. Le sue parole sono un torrente di vita interiore, le sue azioni manifestano le ricchezze inesauribili della grazia divina” (Commento alla Lett. aiRomani 9, 2). Nei Padri del IV e V secolo, l’amore comunitario che è personificato dalla figura del vescovo acquista una particolare rilevanza proprio nel mandato che Pietro, gli altri Apostoli e i loro successori hanno ricevuto da Cristo. Nel commento a Gv 21, 15-19 essi identificano il servizio pastorale come la prova più grande d’amore. S. Ambrogio scrive: “Cristo affidò a Pietro il compito di pascere il suo gregge […] perché conobbe l’amore di lui. Chi ama, infatti, fa di buona voglia ciò che gli è comandato, chi teme, lo fa per necessità” (Commento al Salmo 118,13,3). S. Giovanni Crisostomo afferma: “Gesù avrebbe potuto dire a Pietro: se mi ami, digiuna, dormi sul nudo suolo, veglia incessantemente, difendi gli oppressi, sii padre degli orfani e prendi il posto del marito per la loro madre, … giustamente pertanto il Signore affermò che la cura del gregge è prova dell’amore per lui” (Sul sacerdozio 2,90). S. Agostino, nella triplice domanda che Gesù rivolta da Gesù a Pietro, intravede la totalità dell’amore richiesto da Cristo, l’amore spinto fino al sacrificio di sé che deve contrassegnare l’agire del pastore d’anime: “Vedete come per pascere le pecore del Signore si esige che uno non rifiuti di morire per le pecore del Signore. Tanto può chiedere Cristo al pastore delle sue pecore perché egli le ha riscattate col prezzo del suo sangue. ‘Pasci le mie pecore’, ti affido le mie pecore, per esse sono morto. ‘Mi ami?’ Muori per esse […] Ciò che fu detto a Pietro, e che Pietro adempì, fu detto agli apostoli che ugualmente lo misero in pratica e lo tramandarono fino ad oggi. Se tanti fedeli hanno dato la vita per il Signore, quanto più non deve essere disposto a farlo colui che è posto a loro guida: “Se il buon Pastore, che diede la vita per le sue pecore, dalle pecore stesse trasse tanti martiri, quanto più debbono combattere fino alla morte per la verità, fino al sangue contro il peccato, coloro ai quali egli affidò le pecore stesse perché le pascessero, cioè, le ammaestrassero e governassero?” (Commento a Giovanni 33, 5). S. Gregorio Magno (sec. VI) ricorda che l’amore e l’occuparsi per gli altri non deve attutire, nel pastore d’anime, lo slancio della contemplazione. Non ha vera carità “chi anelando ardentemente alla bellezza del creatore trascura di occuparsi del prossimo, o chi si occupa del prossimo in modo da lasciar languire l’amore divino…. (il pastore ideale dev’essere) vicino a ciascuno con la compassione, rapito più di tutti nella contemplazione. Il Vescovo nel magistero della Chiesa “Nell’esercizio del loro ufficio di padri e di pastori, i vescovi si comportino in mezzo ai loro fedeli come coloro che servono, come buoni pastori che conoscono le loro pecorelle e sono da esse conosciuti, come veri padri che eccellono per il loro spirito di carità e di zelo verso tutti e la cui autorità ricevuta da Dio incontra un’adesione unanime e riconoscente. Raccolgano attorno a sé l’intera famiglia del loro gregge e diano ad essa una tale formazione che tutti, consapevoli dei loro doveri, vivano ed operino in comunione di carità” (Christus Dominus, 16). “Il carisma proprio dell’episcopato è la diffusione del vangelo, un carisma che esalta e che consuma, come una fiamma divorante, il carisma della carità. Parola e grazia e governo, nell’atto del suo misterioso e umano passaggio, da Dio, da Cristo, al suo ministro e dal ministro alle anime, al popolo di Dio: è il carisma del servizio dell’amore per amore” (Paolo VI, L’Osservatore Romano, 21-22 marzo 1966). “L’immagine del Buon Pastore, così amata anche dalla primitiva iconografia cristiana, è stata ben presente ai Vescovi che, provenendo da tutto il mondo, si sono radunati, dal 30 settembre al 27 ottobre 2001, per la X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Presso la tomba dell’apostolo Pietro, essi hanno riflettuto sulla figura del Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo. Tutti si sono trovati d’accordo nel ritenere che la figura di Gesù Buon Pastore costituisce l’immagine privilegiata a cui fare costante riferimento. Nessuno, infatti, può essere considerato pastore degno di tale nome “si per caritatem efficiatur unum cum Christo”. È questa la ragione fondamentale per cui “la figura ideale del Vescovo, su cui la Chiesa continua a contare, è quella del Pastore che, configurato a Cristo nella santità della vita, si spende generosamente per la Chiesa affidatagli, portando contemporaneamente nel cuore la sollecitudine per tutte le Chiese sparse sulla terra (cfr 2 Cor 11, 28)” (Giovanni Paolo II, Pastores Gregis, Esortazione Apostolica post sinodale, 2003, Introduzione). |